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PELLEGRINAGGIO EUCARISTICO IN ORVIETO
NEL VII CENTENARIO DELLA BOLLA «TRANSITURUS»

DISCORSO DI PAOLO VI

Martedì, 11 agosto 1964

         

Signori Cardinali!
Venerati Confratelli e Figli carissimi! Sacerdoti, Religiosi e Religiose!
Magistrati dello Stato e Signori della Provincia e di questa cara e nobilissima Città!
Ufficiali e Soldati!
Popolo di Orvieto e Gente d’Italia e d’ogni Paese qui rappresentato!

​

Siamo lietissimi d’incontrarci con voi, in questo Duomo e in questa centenaria celebrazione; e vi ringraziamo della vostra festosa e devota accoglienza, e siamo sicuri che le sue splendide e vivaci espressioni esteriori non impediranno ad alcuno la riflessione interiore indispensabile per cogliere il valore ed il significato delle cose, che vogliamo onorare col nostro ricordo, con la nostra ammirazione, con la nostra pietà.

Il saluto perciò e la benedizione, con cui Noi rispondiamo alle vostre acclamazioni ed ai vostri omaggi, vogliono da un lato dirvi la Nostra riconoscenza per codeste deferenti e filiali manifestazioni; e vogliono, dall’altro, entrare negli animi di ciascuno di voi, e quasi invitarvi ad un incontro spirituale, dove la Nostra presenza a questa celebrazione possa manifestarvi il cordiale e rispettoso interesse del Nostro ministero per le vostre persone, i vostri pensieri, le vostre occupazioni, i vostri dolori, le vostre speranze: vorremmo far giungere in ogni spirito, che le presenti circostanze polarizzano intorno a Noi, un raggio di paterna affezione e di spirituale consolazione. Perciò vi diciamo di cuore: siate tutti salutati e benedetti!

Ma dobbiamo pur dire perché oggi Noi siamo qui, anche se già a tutti sono notissimi i motivi di questa Nostra religiosa escursione. Voi li volete ascoltare enunciati dalle Nostre labbra; voi sentite come Noi li sentiamo tali motivi oggetto della vostra ben legittima ambizione, e, vogliamo credere, della vostra fedele e intelligente riflessione.

Ebbene, Noi vi diremo, innanzi tutto, che questi motivi Noi li sentiamo potenti ed urgenti nel Nostro spirito; non saremmo altrimenti arrivati quassù, se ragioni del tutto speciali non Ci avessero spinti ad uscire dall’ambito consueto e ristretto in cui si svolge la vita del Papa, per venire a rendere omaggio a Orvieto (e associamo nel Nostro pensiero la vicina e diletta Bolsena), e alle sue commemorative festività. Questo già vi dice quanta importanza Noi attribuiamo a ciò che stiamo visitando e celebrando, e quanto merito gli riconosciamo, affinché sia largamente conosciuto e venerato.

Vi diremo anche che la grandezza e l’abbondanza dei motivi, che qua Ci conducono, sono tali che alcuni di essi Ci procurano qualche distrazione dallo scopo centrale della Nostra visita; e perciò appena vi accenniamo per quel tanto che basti a farli convergere verso quello scopo stesso, o meglio a farli derivare da esso, quasi la raggiera d’un ostensorio, dal cui splendore il mistero eucaristico si accende come sole luminoso.

Vi è infatti una ragione storica che qua Ci invita e quasi Ci chiama come ad antica dimora di Papi, come a Città che intreccia le sue secolari vicende con quelle non solo del loro dominio temporale, ma altresì del loro ministero apostolico. È ragione valida per richiamarci quassù a meditare i tempi che furono, ma non propizia per fissarvi la Nostra attenzione in questo momento. Non il passato, ma il presente adesso Ci tiene. Vi è poi un motivo artistico e quale!, che esercita una perenne attrazione a venire quassù non solo per la curiosità dei Turisti, o per il godimento degli Artisti, ma per la devozione altresì, e soprattutto, dei Credenti che trovano una volta di più in questa Italia, splendida di fede e di bellezza, una superlativa opera dell’arte, tutta pervasa dall’intimo, forte e soave soffio d’uno spirito limpido e pio, lieto di cantare nell’armonia delle immagini, delle forme, delle strutture la sua pace ed il suo fervore, così come vorrebbe sempre a gente di questa terra parlare delle cose divine il mistico linguaggio dell’artista cristiano, e come sempre vorrebbe parlare a Dio delle cose umane la umile e potente sua voce di interprete d’un popolo forte e fedele. Sublime opera, nella quale così si riflette il genio religioso e gentile del nostro popolo, che non più umana ma quasi angelica la sentiamo, quasi miracolo a noi superiore; eppure così viva e così nostra la sentiamo, come se la nostra generazione l’avesse ideata, e tanto l’amasse come sua, da farsi affettuosamente audace di portarla a compimento in ogni sua parte, senza volerne violare l’intangibile perfezione, mentre osa offrirle un suo nuovo e appassionato tributo.

Sì, qui l’arte non distrae, ma attrae, e introduce salmodiando nel recinto del sacro e del mistero.

Ed è a questo recinto, vogliamo dire al motivo religioso di questa festività, e perciò di questa Nostra presenza che dobbiamo appressarci. Dovremmo riascoltare, come una storia, che ci porta l’eco incantevole delle narrazioni medioevali, il racconto del miracolo di Bolsena: c’era una volta un Prete tedesco, che chiameremo Pietro da Praga, venuto pellegrino in questa terra umbra, tormentato dal dubbio... Ma voi la conoscete benissimo questa storia deliziosa e sacra; e Noi ora non la ripeteremo. La penseremo riflessa, come in una meditazione fatta ad alta voce, nell’officiatura, densa di pensiero e di pietà, che Tommaso d’Aquino, allora lui pure dimorante ad Orvieto, quale maestro di cose divine nello «Studium Curiae», qua col Papa trasferito, dedicò al mistero eucaristico, monumento letterario e liturgico, che da quel tempo esprime la fede e l’amore della Chiesa verso il Sacramento della Cena e della Passione di Nostro Signore. Altro speciale motivo questo, che Ci fa volentieri pellegrini a questo benedetto santuario dell’oggetto centrale non solo, ma della sorgente altresì della nostra vita religiosa cattolica.

E siamo così arrivati al motivo principale del Nostro viaggio ad Orvieto: quello di celebrare con voi il settimo centenario della famosa bolla pontificia Transiturus, che il Nostro lontano predecessore, un pio e valoroso figlio di Francia, Urbano IV, l’11 agosto del 1264 datò appunto da questa Città, ove allora era rifugiata la corte pontificia, estendendo, quindi, a tutta la Chiesa la festa, già in uso nella diocesi di Liegi (dove Urbano IV era stato arcidiacono), del Corpus Domini.

Quale significato dottrinale e religioso allora assumesse tale istituzione Noi ora non diremo, per dovere di brevità; né diremo quale importanza tale festa abbia raggiunto nel quadro delle solennità religiose della Chiesa; voi certo sapete come essa si connetta al grande rito pasquale, del quale vuol essere una continuazione, quasi un atto di doveroso ripensamento; e sapete come essa abbia segnato uno sviluppo magnifico, e sempre genuino e fervoroso, del culto eucaristico in tutta la Chiesa, culto che trova la sua abituale e caratteristica espressione nella processione solenne, detta appunto del Corpus Domini, che ancor oggi in un’esuberanza di fede e di fervore vuole rompere il silenzio misterioso, che circonda l’Eucaristia, e vuole tributarle un trionfo, che trabocca dalle pareti delle chiese, per riversarsi nelle vie delle città e infondere in tutta la comunità umana il senso e la gioia della presenza di Cristo, silenzioso e vivo concomitante l’uomo pellegrino sui sentieri del tempo e della terra.

Voi ben sapete tutte queste stupende cose, e ancora ne tenete viva la memoria e costante il rito. . .

Ma qui, Fratelli e Figli, è il Nostro punto d’arrivo; qui la mèta del Nostro pellegrinaggio, qui il senso delle vostre commemorazioni. E qui qualche cosa di tremendo ci attende, qualche cosa di decisivo e cioè il nostro contegno interiore nei confronti del mistero eucaristico, al quale in sostanza tutto questo apparato esteriore fa da cornice. Il mistero eucaristico: come ci trova davanti a sé? come ci definisce? fedeli, entusiasti e rapiti dalla adesione franca e totale al mysterium fidei? incerti e dubbiosi, come il Sacerdote forestiero di Bolsena? pensosi e critici, desiderosi di risolvere in termini prosaici, demitizzati, come fosse un enigma tormentoso da spiegare in una formula facile e comprensibile la astrusa parola di Cristo: «La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda... le parole che Io vi dico sono spirito e vita» (Io. 6, 56-64)? ovvero indifferenti e refrattari a questo supremo e difficile discorso, facili disertori dal convito del regno di Dio, a cui tutti siamo invitati? La questione, come sapete, è estremamente grave, perché coinvolge il problema religioso nel suo epilogo risolutivo; l’accettazione cioè o il rifiuto di Cristo: «Volete forse andarvene anche voi?» (Io. 6, 58), chiede Gesù, dopo il discorso a Cafarnao sul Pane del cielo; e implica la nostra sorte suprema: «Chi mangia vivrà» (Io. 6, 52).

Carissimi Figli, qui presenti! Noi vogliamo pensare che voi tutti vogliate essere classificati fra i commensali fedeli ed assorti intorno alla mensa del Sacrificio eucaristico, e che sappiate riconoscere nei segni del pane e del vino, dopo la consacrazione, la reale Presenza di Cristo che rinnova per noi, in modo incruento, ma vero la sua immolazione. Oh! sia sempre questa la vostra certezza, questo il vostro tema d’inesauribile colloquio con Cristo, questo il consolante pegno della vostra eterna salvezza!

Ma siamo obbiettivi: la nostra mentalità moderna, educata a misurare le sue certezze con la diretta conoscenza sensibile e con la pura ragione scientifica, e ingombra di innumerevoli impressioni fantastiche suscitate dalle invenzioni letterarie e dalle rappresentazioni degli spettacoli che dominano e plasmano, oggi, la nostra psicologia, dura molta fatica ad accogliere con fede sicura e con pietà sincera l’ineffabile annuncio eucaristico: questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue! La nostra mente rimane come stordita; non trova i concetti, non trova le ragioni, non trova le conseguenze d’un tale annuncio. Che cosa è? che cosa significa? e soprattutto: come può essere un tale fatto, che sembra contraddire alle leggi fisiche e biologiche, che noi conosciamo? e perché il Signore, se voleva a noi comunicarsi, ha scelto un modo per noi così incomprensibile? La risposta richiederebbe interminabile discorso; ma Noi non possiamo lasciarla mancare, sia pure in semplicissimi cenni, a tutti aperti, se non a piena comprensione, a invitante riflessione almeno. A noi moderni, formati alla mentalità razionale immaginosa che dicevamo, riesce difficile ammettere la Realtà che questo sacramento ci presenta; occorre la fede, l’adesione semplice e amorosa alla Parola, che ci annuncia il mistero eucaristico; e questa adesione esige una nostra rieducazione a pensare con un impegno e una coerenza, che i nostri vecchi, più poveri di noi nella cultura, ma più schietti e più fiduciosi nella Verità che viene da Dio, esercitavano, anch’essi certo con fatica e con merito, ma più facilmente di noi. Noi moderni, in compenso, siamo meglio disposti a capire il perché di questo sacramento. Il come ci mette in un sforzo interiore; il perché ci apre incantevoli scoperte.

Abbiate pazienza, e concedeteci ancora per un momento la vostra attenzione. Sant’Agostino ci è guida. Nell’Eucaristia possiamo considerare tre aspetti: primo, ciò che si vede: il pane ed il vino; secondo, ciò che si crede ed è raffigurato nelle apparenze del pane e del vino; e che è in realtà il Corpo ed il Sangue di Cristo; il terzo, ciò che significa questa esibizione del Corpo e del Sangue di Cristo sotto le figure di pane e di vino (cfr. Serm. 272; P.L. 38, 1246). A questa terza questione noi possiamo dare una risposta (che non è che un frammento di quella immensa, che ci possono dare i Maestri della Teologia, primo fra essi S. Tommaso: cfr. III, 73, 3 etc.); una risposta che ci riempie di ammirazione e che ci lascia intravedere qualche cosa del pensiero di Cristo su tutto il mistero eucaristico; ed è semplicissima, perché altro non dice che questo: Cristo usando della sua divina potenza, si è rivestito di queste apparenze per affermare nel modo più espressivo ed evidente, che Egli vuol essere alimento interiore, moltiplicato per tutti. Ha voluto parlarci per via di segni per farci comprendere che Egli è il Pane, che Egli cioè è il cibo disponibile e insostituibile dell’umanità redenta. Come non si può vivere senza il pane materiale, così non si può vivere spiritualmente senza Cristo. Egli è necessario, Egli è la Vita, Egli è pronto per ciascuno di noi, Egli vuol essere il principio interiore della nostra soprannaturale esistenza terrena per essere il datore della nostra pienezza nella vita futura. 

A questa conclusione ci conduce e quasi ci obbliga la più elementare meditazione sull’Eucaristia; e ad essa ci invita la presente celebrazione commemorativa dell’istituzione della festa del Corpus Domini. Ed è conclusione formidabile, perché pone dinanzi a noi una scelta che ha ragione di vita, o di morte. Si tratta della scelta o del rifiuto di Cristo. Egli arriva a noi per tante vie: la storia, la tradizione, la Chiesa, il Vangelo; poi arriva Lui, Lui stesso, ma comprensibile solo per chi ha fede, e si presenta a noi nei simboli del pane e del vino, e ci dice: Io sono il tuo pane, il tuo sostegno, la tua forza, la tua pace, la tua felicità! E la scelta si pone fra Lui, il Pane del cielo, e il pane della terra, cioè le risorse che per vivere ci può dare il mondo dei beni temporali, ch’Egli pur sa essere a noi necessari, se Egli stesso ha moltiplicato i pani per la fame corporale di coloro che per ascoltare la sua voce lo avevano seguito. Si pone cioè il complesso e drammatico problema che tormenta gli uomini del nostro tempo e determina il loro orientamento vitale: se basti il pane della terra, cioè il complesso dei beni economici e dei beni temporali, a saziare la fame di vita, ch’è propria dell’uomo: se la ricerca e il godimento di questo pane terrestre ed effimero debbano ignorare il Pane del cielo, cioè Cristo, la fede, la concezione cristiana della vita, e debbano escluderlo dai programmi dell’attività moderna: e se finalmente sia a noi possibile, a noi doveroso dare a Cristo e al suo Vangelo il primato che Gli spetta, senza rimanere privi di quel pane della terra, ch’è pur dono di Dio, ch’è indispensabile alla nostra presente esistenza e che Cristo così ha benedetto da farne sacramento della sua perenne ed incarnata presenza fra noi.

Voi, figli saggi e custodi amorosi di queste tradizioni piissime e popolari, comprendete quale debba essere le soluzione di tale arduo problema, che investe, specialmente nel nostro Paese, la vita contemporanea; la soluzione non può essere diversa che un nuovo e vigoroso atto di fede in Cristo Signore e nella sua parola. Voi sentite sorgere nei vostri animi, risvegliati da queste celebrazioni, una luce, una forza spirituale, che potremmo chiamare il messaggio di Orvieto:

 - non creda l’uomo di oggi di trovare altro nutrimento alla sua insaziabile fame di vita, se non nella fede e nella comunione di Cristo Signore;

- non creda l’uomo di oggi che per conquistare il pane terrestre, di cui ha bisogno la sua vita temporale, debba porre l’alternativa alla ricerca del pane della vita religiosa e della fedeltà alla vita religiosa e della fedeltà alla tradizione cattolica;

- non creda l’uomo di oggi che il tesoro di fede e di bellezza che gli viene dalla storia e dalla civiltà cristiana abbia ormai un semplice valore archeologico e folcloristico, e non pensi di poterlo degnamente conservare e conservare come un cimelio prezioso, sì, ma spento di verità e di realtà interiore: diventerebbe cenere nelle sue mani;

- ma creda l’uomo di oggi che chi cerca, sulla parola di Cristo, il regno di Dio innanzi tutto, avrà pane, avrà l’abbondanza anche dei beni naturali della scienza, della tecnica, del lavoro, dell’arte;

- creda l’uomo d’oggi che ancor più di ieri Cristo gli è necessario: risvegliati in lui i desideri della libertà, della maturità umana, del progresso sociale, della pace, sappia che non solo a possederli, ma a conoscerli nel loro vero concetto codesti ideali è necessario il Maestro, il Maestro divino che solo li può far coincidere con la verità e con la vita;

- e creda finalmente l’uomo di oggi che l’umile e fervorosa fede che Cristo nell’Eucaristia reclama da lui è per la sua redenzione, per la sua salvezza, e per la sua felicità.

Questo il messaggio di Orvieto.

Fratelli e Figli carissimi! Celebrando questo sacro rito Noi avremo un ricordo, una preghiera per il Signor Presidente della Repubblica, che Ci duole sapere gravemente infermo; vada a lui il Nostro riverente pensiero e il Nostro voto cordiale; 

e avremo altresì un’intenzione speciale che mai ci deve abbandonare, quella di pregare per la pace del mondo, di cui 1’Eucaristia è pegno e conforto.

 

© Copyright - Libreria Editrice Vaticana

VISITA PASTORALE AD ORVIETO

CELEBRAZIONE EUCARISTICA DEL «CORPUS DOMINI»
NEL DUOMO DI ORVIETO

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Orvieto (Terni) - Domenica, 17 giugno 1990

 

“Glorifica il Signore, Gerusalemme, loda, Sion, il tuo Dio” (Sal 147, 1)!

1. Tutta la Chiesa canta le lodi di Gerusalemme, perché là, nella città santa, Dio ha realizzato ciò che aveva preparato per il popolo eletto e, attraverso il popolo dell’antica alleanza, per tutti gli uomini. Là - nel cenacolo di Gerusalemme - è avvenuto quanto l’apostolo descrive nella prima lettera ai Corinzi: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?” (1 Cor 10, 16).

Davvero! Nel cenacolo di Gerusalemme, la vigilia della sua morte redentrice sulla croce, Gesù Cristo ha compiuto ciò che aveva predetto: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo . . . Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6, 51. 56).

2. “Chiesa santa, loda il tuo Signore”!

Il cenacolo di Gerusalemme - dove fu istituito il santissimo Sacramento: il corpo e il sangue di Cristo sotto le specie del pane e del vino - si è esteso a tutta la Chiesa. Esso è ora presente in ogni luogo, nel quale si raccoglie la comunità cristiana: si tratti di una splendida costruzione architettonica, oppure di una modesta cappella in terra di missione, là è presente il cenacolo.

E dappertutto la Chiesa loda il suo Signore per il dono dell’Eucaristia, per mezzo della quale egli è rimasto con noi: si è fatto cibo degli uomini per la vita eterna. La solennità, che oggi celebriamo, costituisce un’espressione particolare di questa lode.

3. Rivolgo un fraterno saluto al pastore della diocesi, mons. Decio Lucio Grandoni, e lo ringrazio per le cordiali parole che ha voluto rivolgermi a nome di tutti voi. Con lui, intendo salutare i presuli dell’Umbria qui presenti, le autorità intervenute a questa celebrazione, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i malati, associati dalla sofferenza in modo particolare al sacrificio eucaristico, i giovani e voi tutti, carissimi fratelli e sorelle.

Vogliamo esprimere insieme, con questo incontro, la nostra riconoscenza al Signore, nel ricordo del VII centenario della fondazione del duomo della vostra città, del quale il mio predecessore, il Papa Niccolò IV, benedisse la prima pietra, il 13 novembre 1290.

Anche se la sua costruzione non è collegata direttamente alla solennità del “Corpus Domini”, istituita dal Papa Urbano IV con la bolla Transiturus, nel 1264, né al miracolo avvenuto a Bolsena l’anno precedente, è però indubbio che il mistero eucaristico è qui potentemente evocato dal corporale di Bolsena, per il quale venne appositamente fabbricata la cappella, che ora lo custodisce gelosamente. La città di Orvieto è da allora conosciuta nel mondo intero per tale segno miracoloso, che a tutti ricorda l’amore misericordioso di Dio, fattosi cibo e bevanda di salvezza per l’umanità pellegrina sulla terra. Del culto verso così grande mistero, la vostra città conserva e alimenta l’inestinguibile fiamma.

4. Chiesa di Orvieto, loda il tuo Signore!

Siamo di fronte a Cristo realmente presente sotto i veli di semplici e materiali apparenze. Cristo-Pane, Cristo-Vino: vero cibo e vera bevanda per l’uomo che ha fame e sete di infinito. Solo lui, il Cristo, può colmare il bisogno di eternità del cuore umano; solo lui, il Cristo, è totale compimento di ogni sua aspirazione e pegno sicuro di immortalità. Solo Cristo è “la via, la verità e la vita” per quanti mangiano la sua carne e bevono il suo sangue.

Come gli apostoli raccolti nel cenacolo, anche noi, quest’oggi, condividiamo questo pane di vita imperitura, mentre esultanti uniamo la nostra lode a quella dei fedeli di tutta la terra. Sostiamo attoniti, in raccolta adorazione dinanzi al grande mistero della nostra fede e proclamiamo con gioia la nostra riconoscenza per il dono sublime di cui il Redentore ha arricchito la sua Chiesa.

5. Quanto urgente è il bisogno che l’uomo risente di un pane vero! Ma quanto confuse sono le indicazioni che, al riguardo, gli giungono da ogni parte! Accanto a chi pretende di offrirgli un tale pane con l’una o l’altra ideologia, c’è chi vorrebbe addirittura dissuaderlo da simile ricerca, giudicandola inutile e vana. L’uno o l’altro si trovano, in ogni caso, concordi nel sostenere che l’uomo è chiamato a costruire il proprio destino solo entro l’orizzonte dei valori terreni.

Cristo, invece, ha voluto nascondersi sotto le apparenze del pane e del vino per ricordarci che questo alimento esiste e che, pur situato nello spazio e nel tempo, esso trascende tali dimensioni per attingere l’eterno: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”. Solo l’Eucaristia può dunque dare senso pieno e valore autentico all’esistenza. Gesù si è fatto nostro spirituale alimento per proclamare la sovrana dignità dell’uomo, per rivendicarne i diritti e le giuste esigenze, per trasmettergli il segreto della definitiva vittoria sul male e della comunione eterna con Dio.

Così, nella sua suggestiva solennità, l’odierna celebrazione evoca questo messaggio esaltante e ci spinge ad accoglierne l’intimo invito alla conversione e al servizio, all’amore e al perdono. Ci stimola a diventare, con la vita, autentici imitatori di ciò che celebriamo nella liturgia.

Non dimenticatelo mai: il Cristo, che ci nutre sotto le specie consacrate, è lo stesso che ci viene incontro negli avvenimenti quotidiani; è nel povero che tende la mano, è nel sofferente che implora aiuto, è nel fratello che domanda la nostra disponibilità e aspetta la nostra accoglienza. È nell’uomo: è in ogni essere umano, anche il più piccolo e indifeso.

Profondo mistero di vita! Impenetrabile mistero di amore!

6. Quanti ci nutriamo dello stesso pane “siamo un solo corpo” (cf. 1 Cor 10, 17) e di tante persone diverse si forma una sola famiglia. La liturgia del “Corpus Domini” ci ricorda l’impegno di professare nella vita la comune appartenenza allo stesso Signore, giacché tutti ci alimentiamo alla stessa mistica sorgente di vita immortale.

L’Eucaristia nasce dall’amore e serve all’amore, definitivo comandamento della nuova alleanza. Sia tutto ciò davanti ai vostri occhi, cari fratelli e sorelle, perché possiate celebrare adeguatamente il VII centenario della vostra basilica cattedrale.

Vi esorto vivamente a profittare di tale giubilare ricorrenza per favorire l’auspicata crescita della vita cristiana di tutta la diocesi e per operare un effettivo rinnovamento della catechesi, della liturgia e dello spirito missionario e apostolico. Siate sempre memori del peculiare dovere della vostra comunità ecclesiale di testimoniare il culto alla SS.ma Eucaristia e di mostrarne gli effetti nella comunione di sentimenti e di vita.

Affido quest’impegno all’intera vostra diocesi di Orvieto-Todi, due antiche sedi episcopali, riunite oggi sotto la guida di un unico pastore. Vi invito a far confluire i molteplici doni, a voi elargiti dallo Spirito Santo, nell’unità di un solo corpo ecclesiale: sacerdoti, religiosi e laici, stretti intorno a colui che è segno e ministro di comunione, il vescovo diocesano.

Ogni frazione della vostra Chiesa particolare, resistendo alla possibile tentazione dell’individualismo e della divisione, abbia quale propria meta la costruzione, sotto la guida del vescovo, di una Chiesa compatta, solidamente ancorata alla verità e alla carità. E l’Eucaristia, che Gesù vi dona, sia il pane quotidiano di questa indispensabile coesione, il sostegno di questo solidale cammino!

7. Ma “come può costui darci la sua carne da mangiare?” (Gv 6, 52).

Così si domandavano i numerosi ascoltatori di Gesù, quel giorno in cui, presso Cafarnao, egli fece la promessa dell’Eucaristia. Così si domandavano e disputavano fra loro. Tanti allora abbandonarono Cristo, nonostante fossero stati testimoni del miracolo della moltiplicazione del pane e degli altri segni. Gesù chiese agli apostoli: “Forse anche voi volete andarvene?”. Rispose Simon Pietro: “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6, 67-69).

In tutta la terra la Chiesa vive d’Eucaristia. In questo sacramento trovano la loro sintesi salvifica tutte le parole della vita eterna. Diventano cibo per le anime e, proprio grazie a questo alimento, l’uomo, peregrinante per i molteplici deserti del tempo, si avvia alla Gerusalemme eterna.

Quando dunque il “corpo mortale si vestirà di immortalità” (1 Cor 15, 53), si manifesterà pienamente la potenza del corpo e del sangue di Cristo. È vero! Nel corpo e nel sangue di Cristo vi è già l’inizio della gloria e della vita. Gloria e vita, che saranno la nostra futura eredità. Per sempre! Poiché “l’uomo vivente è la gloria di Dio” (S. Ireneo, Adversus haereses IV, 20, 7)”. Amen!

 

© Copyright 1990 - Libreria Editrice Vaticana

 

 

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